metodo_del_consenso


Il Consenso : una introduzione

 

 

In una comunità di individui ci sono molti modi per prendere decisioni e sicuramente nessuna di tali modalità è perfetta. Molti di noi sono cresciuti in una cultura che considera la democrazia di stile occidentale un valore supremo, dove il principio di “una testa, un voto” è il solo potere di cui ciascuno ha bisogno. Tuttavia in quelle stesse nazioni che gridano forte le virtù della democrazia occidentale sembra esserci una disillusione diffusa sulla sua capacità di cambiare le cose in modo significativo. La democrazia sembra ridursi al compito di eleggere un esecutivo che prenda tutte le decisioni, e a rinominarne uno successivo ogni qualvolta il precedente decade. Per la maggioranza di noi tale delega del nostro potere personale potrebbe sembrare un gesto non molto differente da quello di lanciare la monetina in aria. Nel voto democratico, di solito, a livelli sia macro che micro, una minoranza significativa è profondamente scontenta del risultato. Per questo, anche se tale minoranza accetta il risultato del voto, dal momento che accetta le regole del gioco, può comunque opporre una resistenza attiva o minare il risultato ottenuto lavorando all’opposizione solo in vista della prossima opportunità di voto.

 

Il compromesso è un altro metodo per raggiungere una decisione, solitamente attraverso una negoziazione. Due o più parti annunciano la loro diversa posizione e tentano di avvicinarsi una all’altra con misurate concessioni e passi graduali e reciproci. Questo può spesso portare a una insoddisfazione di entrambe le parti, con il risultato che nessuno ottiene realmente ciò che desiderava.

 

Il consenso, che qui presentiamo, è un modo più creativo per prendere decisioni. E’ un processo in cui non può essere raggiunta alcuna decisione a meno che tutti i presenti non abbiano la deliberata volontà di accettarla.

Il consenso, in teoria, è il prodotto del miglior sforzo di pensiero creativo compiuto da tutti, e pone priorità sulla coesione e la stabilità del gruppo, piuttosto che sull’ansia di arrivare a delle veloci soluzioni e risposte. Il processo consensuale può essere lento e arduo. C’è bisogno di riconoscere che il problema del singolo membro del gruppo è un problema di tutto il gruppo. Comunque sia, se le minoranze vengono ascoltate, non solo la decisione finale è spesso migliore di quella che la maggioranza potrebbe velocemente imporre, ma tale decisione ha più probabilità di ricevere un ampio supporto nel momento della sua attuazione.

La prima e fondamentale condizione affinchè il consenso sia attuabile è che ogni singolo membro del gruppo si senta impegnato a farlo funzionare. Inoltre è molto importante la presenza di un facilitatore del processo che sia deciso e imparziale. Questo è necessario per tenere il processo decisionale ben saldo sui binari che lo caratterizzano e non perdere il focus delle proposte in gioco.

 

Un abbozzo di procedura basilare.

 

 

Ci sono molti modelli di consenso in altrettanti manuali, scritti dagli anni ‘70 ad oggi, soprattutto nei paesi anglosassoni, che vengono dall’osservazione dell’esperienza di gruppi religiosi, comunità indigene africane, asiatiche e sudamericane, organizzazioni nonviolente e altre realtà.

 

Una procedura basilare può assomigliare alla seguente:

 

  1. Definite e formulate in gruppo il problema o la decisione da prendere. E’ d’aiuto se si riesce a farlo tenendo separati problemi e questioni dalle persone che li sollevano.
  2. Generate in gruppo, in un’atmosfera libera e non giudicante, possibili soluzioni. Queste vengono scritte su un cartellone. Tutte, anche le più assurde. Cercate di tenere un livello di energia alto, con suggerimenti veloci, istintivi ed intuitivi.
  3. Create uno spazio per le domande di chiarimento sulle soluzioni generate.
  4. Discutete le opzioni annotate. Modificatene alcune, altre eliminatele, e sviluppate una breve lista. Quali sono le favorite?
  5. Esplicitate le proposte, o quelle che avrete selezionato, affinchè queste siano chiare a tutti.
  6. Discutete i pro e i contro di ciascuna proposta, assicurandovi che ciascuno abbia la possibilità di contribuire al dibattito.
  7. Se ci sono grosse obiezioni ritornate al punto 6 o, talvolta, al 4 (questo è ciò che fa sì che si consumi del tempo e si pratichi la pazienza...).
  8. Se non ci sono grossi ostacoli, formulate la decisione e verificate tra tutti se vi è un accordo sulla sua definizione finale.
  9. Riconoscete le eventuali obiezioni minori e incorporate emendamenti proposti con spirito amichevole.
  10. Discutetene.
  11. Verificate il consenso.

 

Quando il processo decisionale è ricominciato un paio di volte, ha preso in considerazione opzioni differenti, modificato le proposte, e voi vi trovate ancora in disaccordo con ciò che viene offerto, potreste considerare la possibilità di forme di opposizione che ad ogni modo non tengano in ostaggio il progresso del gruppo:

 

 

Perchè la decisione sia adottata, dicevamo, c’è bisogno del permesso di ciascun membro, non solo di quello che alza di più la voce, di quello che articola meglio il suo pensiero, o di quello più conosciuto. Quindi sarà responsabilità e preoccupazione del gruppo ascoltare e dare una risposta a tutti i partecipanti, prendendo in considerazione i loro contributi. Ciò da vita non solo a gruppi più egualitari, ma produce anche gruppi con un senso di autorealizzazione maggiore, nei quali ciascun membro, col suo proprio stile relazionale e comunicativo, ha la possibilità di sentirsi incluso e importante. La responsabilità sarà così più equamente distribuita, e i membri diverranno anche reciprocamente più sensibili e coinvolti. Un passo importante, questo, nella direzione della diminuzione di quel diffuso, e spesso visibile, senso di separatezza tra individui appartenenti ad un gruppo, e che spesso può essere causa di profonde divisioni e sofferenze.

 

 

 

 

Il “blocco” e le sue alternative.

 

Credo che il diritto dell’individuo di “bloccare” una decisione voluta dal resto del gruppo, sia uno dei fondamenti del processo decisionale consensuale. La possibilità dell’individuo di bloccare una decisione consensuata dal gruppo fu originariamente introdotta nelle comunità quacchere per garantire un ulteriore filtro e verifica contro possibili derive fanatiche della comunità stessa, che avrebbe potuto essere trascinata da leadership carismatiche e direttive.

 

Bloccare” una proposta che ha avuto un’ampia discussione ed è il frutto di una sintesi collettiva, è un atto molto serio. Dovrebbe essere fatto con molta coscienza e dopo attenta riflessione. Sicuramente non sulla scia di sentimenti di avversione per il gruppo e del senso di frustrazione che può derivare dal non vedere soddisfatte in pieno le proprie aspettative e i propri desideri. Il “blocco” dovrebbe essere basato su questioni di principio; qualcosa che riguardi l’etica, dei fatti specifici, probabili conseguenze negative per il gruppo, forti e diffuse preoccupazioni all’interno del gruppo, piuttosto che sulla base di proprie personali preferenze o impulsi egoistici.

 

Un blocco comporta inoltre la responsabilità, per chi lo ha posto, di fare una proposta concreta su come continuare il processo decisionale. A questo punto possono essere prese in considerazione varie opzioni:

 

Mezzi e fini.

 

 

Per gruppi che si occupano di azione diretta nonviolenta o che vogliono sviluppare un maggior senso di comunità, il processo decisionale consensuale è non solo un metodo per prendere decisioni, ma anche una maniera di costruire relazioni comunitarie, fiducia, un senso di sicurezza e di mutuo aiuto, importante soprattutto nei periodi di stress ed emergenza. Ciò richiede impegno, pazienza, e la volontà di riconoscere il primato del bene collettivo del gruppo sul proprio interesse personale. Non è certamente un processo adatto per decisioni veloci, ma può certamente aiutare a costruire una base sicura sulla quale decisioni di emergenza possono essere prese senza che il gruppo non le riconosca come proprie. E’ un metodo che diventa via via più snello e facile con la pratica e l’impegno continuo.

Una parte del movimento pacifista ha tradizionalmente adottato tale metodo, principalmente perchè rappresenta un deliberato tentativo di abbinare i propri metodi di azione con i propri fini. Se vogliamo un mondo in pace dove ciascuno possa vivere avendo garanzia di giustizia ed equità, dovremmo praticare quello stesso stile di vita nel qui ed ora.

 

Giovanni Turra

04/11/1998

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Applicare il Metodo del Consenso: problemi di linguaggio & problemi di comunicazione.

(di Roberto Tecchio)

 

Applicare il metodo del consenso (mc) non è facile, è come costruire le nuove forme di organizzazione cosiddette a rete. Incontriamo parecchi problemi e, nel cercare di risolverli, corriamo il rischio di cadere in vecchi modelli decisionali e organizzativi che pure desideriamo fortemente superare.

Nel nostro caso alcuni problemi possono essere risolti o ridotti spiegando meglio cosa s’intende con certe parole. L’operazione è quanto mai necessaria visto l’uso assai differenziato che si fa di termini come consenso e dissenso, accordo, disaccordo, unanimità, veto, blocco, ecc.

Quanto segue è una riflessione che si propone, in piena libertà di chi scrive e chi legge, di allargare e approfondire il bagaglio terminologico che spesso si usa quando si applica il mc. Questo non è un documento ufficiale, ognuno ne fa ciò che vuole.

La lettura del testo risulta più comprensibile se si conosce lo scritto ‘il metodo del consenso in teoria’ (che mi può essere richiesto leporet@libero.it oppure reperito sul sito web del Villaggio Eco Solidale http://web.tiscali.it/ecosolidale/consenso.html

 

 

UN GLOSSARIO PER APPLICARE IL MC

 

Alcuni termini chiave utili a gestire il processo decisionale (la cui conoscenza dovrebbe essere di tutti per poter partecipare effettivamente ed efficacemente a tale gestione), sono:

 

Accordo e Disaccordo: si riferiscono solo al piano dei contenuti delle decisioni (le proposte).

Se tracciamo una linea su un foglio (il foglio potrebbe rappresentare in questo caso il piano dei contenuti di una decisione) e poniamo agli estremi della linea i due termini suddetti, avremmo un continuum che va dall’Accordo Pieno al Disaccordo Pieno. Lungo il continuum di questa linea si possono fare alcune utilissime distinzioni di significato, come poi di fatto avviene in una discussione libera e creativa, per cui abbiamo:

 

 

Da notare dunque che sul piano dei contenuti potrei essere non molto d’accordo con una proposta, o addirittura in disaccordo, ma alla fine acconsentire alla decisione che assume quella proposta: è quello che si chiama ‘accordo nel disaccordo’, il consenso appunto.

Naturalmente quando c’è o si raggiunge un buon accordo va tutto bene. I problemi sorgono quando essendo finito il tempo della discussione restano delle divergenze non conciliate, che in sostanza sono forme di disaccordo. E ciò accade normalmente in tutti i gruppi, anche i più solidi e con forti affinità. È qui che il mc, se ben conosciuto e applicato, può dare quella marcia in più per andare avanti costruttivamente. E allora, come essere in disaccordo e al tempo stesso dare il consenso?

 

Consenso e Dissenso: si riferiscono sia ai contenuti, sia soprattutto alla relazione tra i soggetti che danno vita al gruppo/rete/movimento, e in particolare al grado di fiducia tra quei soggetti e verso il cammino comune intrapreso.

Più propriamente diciamo che il Consenso si ha quando pur non essendo in qualche misura d’accordo sul contenuto di una decisione, si è comunque d’accordo nel prendere, o non prendere, quella determinata decisione. Infatti il consenso può esserci sia rispetto all’assumere una determinata proposta, sia al non assumerla: sempre di decisione consensuale si tratta alla fine.

Il consenso dunque implica che vi sia una diversità di opinioni riguardo alla decisione che si sta prendendo, ovvero implica una qualche misura di non accordo, altrimenti sarebbe unanimità o quasi.

In una decisione sono implicati (sempre) diversi piani. Le varie forme di accordo/disaccordo si giocano sul piano dei contenuti, mentre il consenso/dissenso riguarda soprattutto la relazione tra le persone che formano il gruppo. Il consenso in sostanza esprime il tipo (o la qualità) della relazione esistente tra queste persone, soprattutto la fiducia nel cammino comune che si è scelto di fare e di continuare a fare nonostante le difficoltà del momento. È una fiducia nel processo che va oltre le singole persone con le quali si condivide il cammino. Ecco perché è possibile, e non solo in teoria, essere “d’accordo nel disaccordo” (cosa che avviene frequentemente all’interno di sane relazioni di amicizia e all’interno di gruppi affiatati che usano informalmente e spesso inconsapevolmente metodi orientati al consenso).

In effetti l’applicazione del mc, partendo da posizioni diverse e a volte conflittuali, può condurre alla fine del processo a un alto grado di accordo, o addirittura all’unanimità. Ma non sempre è cosi, e riuscire a costruire un buon consenso laddove persistono forme di disaccordo è un risultato spesso più prezioso dell’unanimità.

 

Accettazione e Obiezione: in pratica è un altro modo di esprimere il grado di accordo o disaccordo in rapporto ai contenuti delle decisioni. Sono termini che nella prassi risultano molto utili, soprattutto il termine obiezione.

Obiezione: indica che il disaccordo è talmente forte da chiedere il blocco o sospensione della decisione su una determinata proposta. Di fronte a un’obiezione il gruppo deve fermarsi e cercare soluzioni migliori di quelle sino ad allora trovate. Se i tentativi non riescono, o se comunque il tempo alla fine manca, ci sono due modi per uscire: Stare da parte o Bloccare la decisione.

 

Blocco vuol dire che una determinata proposta non viene accettata, cioè si decide di non assumere quella proposta. Può essere vista anche come una decisione in negativo: il gruppo decide di non prendere quella decisione. Da notare che il blocco di una proposta, per essere una decisione consensuale, deve ricevere il riconoscimento (o legittimazione) da parte di coloro che inizialmente erano contrari all’obiezione. Cioè: non è mai il singolo o la minoranza a ‘bloccare’ una proposta, ma il gruppo nel suo insieme. Il singolo o la minoranza possono solo ‘obiettare’ in rapporto al contenuto di una proposta (e quindi, certo, in sostanza chiedere il blocco della proposta), ma l’accoglimento dell’obiezione e di conseguenza il blocco della proposta spetta alla maggioranza. Questo problema non si pone nella misura in cui l’obiezione è largamente condivisa: più sono le persone che obiettano e maggiore è la necessità di bloccare una proposta. È un fatto di saggezza, perché pure il metodo del consenso tiene conto dei numeri delle maggioranze e delle minoranze.

 

Stare da parte vuol dire in pratica dare il consenso, malgrado tutto accettare che una decisione venga presa, anche se in rapporto ad essa il disaccordo rimane. È molto probabile che la minoranza che se ne sta da parte, essendo in disaccordo, poi non dia sostegno alla decisione. Ciò è legittimo purché ne venga esplicitata la forma (patto di lealtà).

 

Veto: come si vede questa parola non ha senso all’interno di un processo orientato al consenso (ha senso invece nei processi orientati all’unanimità).

 

Problema riconosciuto/non riconosciuto (o legittimato/non legittimato): è la formula che si può usare in una situazione di obiezione per verificare l’orientamento verso le due opzioni (lo stare da parte o il bloccare la proposta).

 

Impegno: forse questo è il termine più importante. Infatti il prendere una decisione non ha molto senso in sé: il senso ce l’ha se poi la decisione può essere concretizzata e avere effetto. E qui viene appunto l’impegno: noi decidiamo cose che per essere realizzate richiedono sempre un certo impegno, a volte di pochi, a volte di tanti o tutti, a volte un impegno intenso, breve o duraturo. Il mc ha come obiettivo quello di portare un gruppo a prendere delle decisioni intelligenti e creative con la migliore garanzia di essere poi realizzate. La qualità di una decisione non è data solo dal suo contenuto (che potrebbe essere pure geniale), ma anche e forse soprattutto dalla possibilità di essere ben eseguita e realizzata nonostante le difficoltà che tante volte sorgono (previste e impreviste).

 

 

ALCUNE DOMANDE IMPORTANTI (e tentativi di risposta):

 

Che succede se un singolo o una piccola minoranza non vuole stare da parte?

Molto probabilmente se ne andrà, uscirà dal gruppo/rete. È un fatto naturale e non c’è nessun metodo che può evitare l’insorgere di questo evento. D’altro canto ciò rappresenta l’esercizio della libertà: fa parte delle regole del gioco uscire dal gioco (per farne un altro). Una buona capacità di gestire i conflitti consente nella migliore delle ipotesi di trasformare le naturali difficoltà e crisi in occasioni di crescita per tutti: anche le separazioni, se ben gestite, hanno grande valore.

 

Che succede se le maggioranze mostrano di non tener conto delle minoranze?

Molto probabilmente le minoranze se ne andranno, e forse avranno ragione. Il punto sta infatti nel ‘mostrare’ di tener conto delle differenze, di riconoscere le diversità, di voler trovare soluzioni che tengono conto dei bisogni di tutti. Ciò è assai impegnativo, e quando onestamente ci si prova allora le minoranze è difficile che si allontanino: la difficoltà di una minoranza sta soprattutto nel non sentirsi riconosciuta. Quando ci si sente riconosciuti aumenta la fiducia e dunque il consenso.

 

Che spazio hanno le manovre di ricatto (se si fa/non si fa così, noi allora ce ne andiamo)?

Queste situazioni in genere sono più legate a una incapacità di comunicare i propri bisogni, o di gestire le tensioni/emozioni/disagi che derivano dal confronto tra le diverse concezioni, idee, ecc. Oppure dipendono dal contesto stressante in cui le decisioni vengono prese. È importante prevenirle tramite una adeguata informazione e formazione (sul metodo di lavoro, i processi decisionali e la gestione dei conflitti) e soprattutto costruendo adeguati contesti di lavoro. Nel momento in cui emergono vanno opportunamente gestite (i facilitatori servono soprattutto in questi casi).

 

Che vuol dire fiducia? Come faccio a fidarmi di chi non conosco (o peggio, di ‘chi’ conosco)?

Fiducia vuol dire che accetto di stare dentro una relazione, un cammino, un progetto comune, perché me lo dicono sia il cuore sia la testa. Non è mai un fatto di puro calcolo; la fiducia si esprime con un ‘io credo’ e perciò contiene sempre un ché di indimostrabile. Parafrasando una famosa dichiarazione di Vaclav Havel direi che la fiducia “non è ottimismo, non è la convinzione che prima o poi si avrà successo, ma è la certezza che ciò che si sta facendo ha un senso.” La nonviolenza si fonda sulla forza della fede e coltiva le qualità dell’amicizia (stessa radice di amore): per questo il mc è strano, difficile, rivoluzionario, perché è il metodo della nonviolenza. Un metodo (decisionale, politico, formativo, educativo o quant’altro) che si richiamasse alla nonviolenza e non desse ampio e congruo spazio alla dimensione dell’amore e della fede/fiducia, mi domando, come potrebbe definirsi nonviolento?

 

 

PER SAPERNE DI PIÙ’

Sul mc non c’è nessuna corrente pubblicazione in italiano (salvo alcuni libri che riportano i miei scritti sopracitati), solo vecchi testi fuori circolazione (“Addestramento alla nonviolenza” a cura di Alberto L’Abate, ed Satyagraha, è il più noto, che poi nelle parti relative al mc e all’azione diretta nonviolenta è stato ripubblicato all’interno del testo “Percorsi di formazione alla nonviolenza” , ed Pangea, anche questo però fuori circolazione!).

Siccome quello che chiamiamo mc è in sostanza un metodo per gestire i problemi e i conflitti in modo creativo, è possibile trovare molte corrispondenze e strumenti utili nei testi che trattano questi temi, soprattutto i cosiddetti metodi win/win di Problem Solving, negoziazione e mediazione. In proposito suggerisco ‘Leader efficaci’, oppure ‘Insegnanti Efficaci’ di T. Gordon, ed La meridiana (in circolazione!).

Tornando al mc, tradotto dalle PBI di Vicenza, c’è il testo di Butler e Rothstein, dal quale io ho preso alcuni importanti spunti per elaborare lo scritto il ‘mc in teoria’. Questo testo mi si può richiedere, oppure si può reperire sul sito di Eticamente http://web.tiscali.it/eticamente/biblioteca_documenti.htm

Inoltre Butler e Rothstein curano uno speciale sito web dedicato al consenso http://www.consensus.net/

Per chi conosce l’inglese suggerisco di contattare le PBI di Vicenza anshanti@libero.it e di visitare il sito http://www.actupny.org/documents/CDdocuments/Consensus.html.

Molto interessante infine è il cosiddetto metodo sociocratico, molto simile al nostro mc: vedi sito http://www.champlainvalleycohousing.org/sociocracy.html

Altre cose si possono ovviamente trovare con i motori di ricerca usando la voce ‘metodo del consenso’ (dove si scopre, tra l’altro, il notevole lavoro teorico e pratico degli spagnoli) .

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Il metodo del consenso

Innanzitutto è bene chiarire che consenso non significa unanimità. In caso di unanimità tutti nel gruppo sono d’accordo, tutti sono convinti di aver fatto la scelta migliore in quel momento, tutti sono“vincitori”.

Il processo decisionale consensuale ha invece origine da un conflitto: non tutti sono d’accordo !

 

Il clima decisionale.

Il gruppo deve avere chiaro, al suo interno, che l’importante è che la decisione venga presa, e che per il bene del gruppo ciò deve avvenire nel rispetto della posizione di ciascun membro. Tutti sono invitati a facilitare il processo cercando di lasciare da parte i vissuti personali o eventuali conflitti interpersonali.

Tutti i componenti del gruppo sono in possesso delle medesime informazioni. Si cerca di chiarire il più possibile la differenza tra le posizioni in conflitto ed i punti che queste hanno in comune. Si cerca anche di chiarire la situazione emotiva, per capire quanto incide sul conflitto, quanto influisce sulla razionalità e perché.

Per tutto questo può essere utile la figura del facilitatore, che può anche non partecipare alle decisioni concentrandosi sul proprio compito.

 

Il percorso.

1. Si comincia con una discussione a piccoli gruppi (di due - cinque persone) per consentire e stimolare l’espressione di opinioni, considerazioni, dubbi, perples-sità. I colloqui a due, le discussioni a piccoli gruppi ed eventuali pause di riflessioni personali sono utili anche per verificare quanto incidono leadership, protagonismo, conflitti personali, ecc. Come accennato prima, infatti, ciascuno deve valutare la propria posizione mettendola in relazione al bene del gruppo e non alla propria personale affermazione.

2. Quindi si discute in plenaria, cercando di individuare letendenze delle decisioni e gli ostacoli. Può essere utile fare dei sondaggi per capire le diverse posizioni, anche con schieramenti.3. Dopo tutto questo, il facilitatore pone la domanda. Se si è tutti d’accordo (unanimità), la decisione è presa. Se invece non vi è accordo unanime, può essere che i motivi del disaccordo non siano così forti ed importanti da bloccare la decisione. In qusto caso, una delle parti acconsente alle posizioni dell’altra («Non sono d’accordo, però i motivi non sono tali da impedirmi, qui ed ora, di acconsentire»). Altrimenti, se questo consenso non è possibile, si ha il blocco della decisione.

 

 

Il consenso

 

Si ha il consenso quando ogni singolo è d’accordo che la decisione venga presa per il bene del gruppo, pur essendoci persone in disaccordo che non hanno però motivi così importanti da bloccarla.

 

Quando si raggiunge il consenso, generalmente la parte che acconsente si impegna ad appoggiare la decisione presa e a lavorare attivamente perché si realizzi («Dal momento che, pur non essendo totalmente d’accordo, non reputo produttivo bloccare qui ed ora la decisione e vi acconsento, non boicotterò la sua realizzazione, ma mi impegnerò a rispettarla»).

C’è un’altra possibilità: acconsentire perché il gruppo prosegua il lavoro, ma astenersi dall’impegno attivo. Questo di solito accade quando i motivi del disaccordo sono strettamente personali («Avete deciso di chiedere fondi all’Unione dei Macellai, io sono vegetariano. Non blocco la decisione perché sono d’accordo sul fatto che c’è bisogno di soldi, non ho alternative concrete, però io non chiederò una lira!»). L’importante è che la posizione sia esplicitata e motivata e non si tratti di un disimpegno sommerso, che si traduce in boicottaggio.

 

Se la decisione è bloccata?

Il gruppo dovrebbe cercare nuove posizioni, una terza via su cui le parti raggiungano il consenso, un compromesso rispettoso delle parti.

 

Vi sono alcune attività molto utili per uscire dal blocco decisionale:

scomposizione della decisione in sottopunti in modo da individuare le questioni che provocano il blocco

riesame approfondito dei motivi del blocco

intervento di mediatori esterni

lavoro in piccoli gruppi

schieramenti

giochi per calare la tensione

silenzio per alcuni minuti o per alcune ore

esercizi di ascolto attivo

digiuno

 

Gli ostacoli per il consenso— competitività (pensare solo in termini di vinco/perdo e giusto/sbagliato)

pensare a sé e non al gruppo

paura e soppressione dei sentimenti e dei conflitti

dipendenza dall’autorità, bisogno del leader

pregiudizi

 

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Tavolo dei diritti per il Metodo Orientato al Consenso

 

A) DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DI OGNI PARTECIPANTE

1. Io ho il diritto di essere trattato con rispetto. Così gli altri.

2. Io ho il diritto di avere ed esprimere opinioni e sentimenti. Così gli altri.

3. Io ho il diritto di essere ascoltato e preso seriamente. Così gli altri.

4. Io ho il diritto di dire "no" senza sentirmi in colpa. Così gli altri.

5. Io ho il diritto di chiedere ciò di cui ho bisogno. Così gli altri.

6. Io ho il diritto di cambiare opinione. Così gli altri.

 

B) ORIENTAMENTI PER UNA COMUNICAZIONE COSTRUTTIVA

1. Usare messaggi "io" di confronto costruttivo.

2. Ascoltare attivamente, e verificare se abbiamo capito veramente quello che gli altri volevano dire, e viceversa.

3. Fare attenzione non solo ai contenuti, ma anche ai sentimenti espressi.

4. Distinguere le persone dai problemi e dalle loro azioni: evitare di attribuire intenzioni agli altri e di giudicarli, attenersi ai fatti e ai comportamenti.

5. Essere precisi ed evitare le generalizzazioni.

 

 

C) ORIENTAMENTI PER COOPERARE NEL CONFLITTO

1. Passare dalla visione "me contro te", al "Noi".

2. Passare dalle "prese di posizione" agli Interessi e Bisogni in gioco.

3. Concentrarsi invece che sul Passato, sul Presente e sul Futuro.

4. Passare dall'Impossibile al Possibile.

5. Passare dalla Colpevolizzazione all'assunzione di Responsabilità.